La bipolarità intesa come alternanza degli stati emozionali abbraccia un ampio spettro di possibili alterazioni del funzionamento di una condizione umana. Il disturbo bipolare, di cui soffre circa 42% della popolazione mondiale, non ha solo origine organica o genetica come molti pazienti preferiscono pensare per scaricarsi dalla responsabilità e affidandosi esclusivamente alla terapia farmacologia, ma la lotta per guarire è anche psicologica.
Infatti se la bipolarità fosse attribuibile esclusivamente a una disfunzionalità organica i farmaci basterebbero a curarla e stabilizzarla, cosa che invece non accade. Inoltre e’ stato ritrovato che alcune persone hanno le stesse alterazioni trasmettitoriali di chi soffre del disturbo ma non sono bipolari (Grecco). L’alterazione della serotonina nel bipolare, ad esempio, incide nella regolazione degli stati emotivi e nell’interpretazione funzionale delle relazioni d’attaccamento. I bipolari infatti hanno grandi difficoltà ad affrontare il dolore della separazione e della perdita giacché vivono il distanziamento come una minaccia, di conseguenza non riescono mai a chiudere le relazioni, piuttosto evitano, scompaiono e trovano la soluzione per affrontare l’esperienza dolorosa nel non esserci. Altro ruolo importante viene giocato dalla noradrenalina che, quando viene inibita, come accade ad esempio in stati mentali quali il sonno e la depressione, consente una comunicazione neuronale limitata a piccole reti, mentre rilasciata in quantità maggiori stimola reti più ampie e quindi una più complessa attività cognitiva. Questa maggiore velocità dei processi percettivi e associativi, unitamente all’intensificazione delle esperienze emotive (irrequietezza, espansività, irritabilità, grandiosità) e alla diversità di pensiero, sono caratteristiche dello stato ipomaniacale, ma in maggior parte condivise anche dal pensiero creativo. Il legame fenomenologico osservato tra creatività e ipomania ha stimolato interessanti interrogativi sul ruolo svolto dai cambiamenti emotivi nel processo creativo (Barrantes-Vidal e Vieta, 2001).
La tesi di Louis Bertagna, psichiatra francese, e’ invece che “Il cervello è una macchina sofisticata, e i veri creativi, i geni artistici, vanno facilmente in panne”, e vivono almeno una depressione. Tuttavia, “la malattia mentale non è un presupposto necessario della creatività, ma ne condivide solo alcuni aspetti cognitivi” (Peterson). Infatti, anche se le persone creative non solo si sentono a loro agio ma sono proprio attratte dalla variabilità, novità e complessità degli stimoli, ciò non le rende necessariamente bipolari, ma semplicemente individui con più elevate abilità intellettive, mnemoniche e di gestione delle conflittualità. Anatomicamente i ricercatori hanno finora individuato più aree che si coordinano tra loro quali sedi dell’abilita’ creativa di elaborazione delle informazioni: regione cerebrale frontale, pre-frontale e sul lato destro che si estende all’indietro verso il cingolo anteriore (neurologo David Beversdorf dell’Università dell’Ohio). Quindi benchè ci siano evidenze cliniche che provino che la creatività riesca a livellare le alterazioni dopaminergiche presenti nel disturbo bipolare, bisogna tener ben presente che il talento e la bipolarità viaggiano su binari diversi.
Il talento non è un sintomo della malattia, ma può essere un fattore facilitante se viene soffocato. I bambini con deficit di attenzione (spesso futuri bipolari), ad esempio, possiedono il talento intuitivo del pensiero per immagini, che gli consente di risolvere prima e più velocemente la situazione, e che viene spesso represso perché la conseguenza di solito è che poi si annoiano e quindi si distraggono. Il bipolare si annoia spesso e facilmente della routine e delle cose e non ne capisce il perché, ciò lo confonde e lo fa sentire incompreso in quanto lui per primo non riesce a “darsi una forma” stabile, ma passa senza vie di mezzo da uno stato dell’umore all’altro. I momenti d’ipomaniacalità sono di solito quelli più produttivi e vengono considerati desiderabili, ma quanto più s’indulge in essi tanto più se ne paga il prezzo in termini di depressione. Il problema di un bipolare dunque non è smettere di oscillare, ma diventa rinunciare al fascino dei momenti “up” per riuscire a fluttuare con un certo equilibrio che lo renda capace di gestire le emozioni piuttosto che restarne sopraffatto. Ciò può accadere grazie non solo a una trasmissione neurotrasmettitoriale funzionale ma anche a una buona abilità di regolazione delle emozioni (identificazione, comprensione, tolleranza, distrazione, rilassamento, ridimensionamento, sdrammatizzazione).
In questo senso è molto importante: avere relazioni e contatti con le persone per migliorare le capacità di risposta e gestione dei conflitti interpersonali, spostare il focus emotivo occupandosi di altro da sè, stimolare l’autoproduzione di trasmettitori con esercizi respiratori e meditazione mindfulness (esposizione alle proprie emozioni più devastanti con attenzione presente ma non giudicante). Le persone che non sviluppano disturbo bipolare, nonostante la presenza di alterazioni trasmettitoriali, possiedono questa capacità, riescono cioè ad ampliare il loro campo percettivo promuovendo l’integrazione di quelle parti di sé (emozioni, pensieri, sentimenti ecc.) che erano state lasciate per qualche ragione funzionalmente “fuori fuoco”. E’ sorprendente notare come molti individui considerati eccezionali per le loro abilità creative non riescano invece ad applicarle nella regolazione dei propri processi emozionali.